Nell’universo le stelle sono spesso fonte di vita. Esse hanno origine da nubi di gas che volteggiano inesorabili nell’immensità dello spazio cosmico. Ma nel caso la massa di queste nubi fosse minore del 10% di quella del Sole, allora molto probabilmente si assisterebbe ad un collasso da cui avrà luogo una nana bruna, una stella “mancata”, che difficilmente ospiterà un pianeta attorno a sé. La maggiorparte delle stelle nasce all'interno dei dischi galattici dove vi è una maggiore concentrazione di gas e polveri. Ma nonostante ciò solo l’1% delle nubi di gas presenti in queste regioni darà origine ad una stella, il che induce a concludere quanto questo sistema di formazione stellare sia in realtà poco efficiente. A volte si pensa allo spazio cosmico come un luogo placido e imperturbabile. Tutt’altro. Banalmente, se ci avvicinassimo troppo ad una stella finiremmo arrostiti; se ci allontanassimo, congelati. Se inoltre non ci fosse un’atmosfera a proteggerci moriremmo all’istante per via delle radiazioni cosmiche provenienti dallo spazio circostante, comprese quelle del vento stellare dell’astro attorno cui il nostro pianeta orbita. Al di fuori di quel microscopico granello di detriti cosmici originati dalla formazione di una nebulosa solare, che comunemente chiamiamo Terra, la temperatura media del cosmo è prossima allo zero assoluto (circa -273°C), ed è di circa 3 K (-270°C). Ma là fuori esistono posti anche più freddi, come la nebulosa Boomerang, dove la temperatura tocca 1 K (-272°C). Che dire della Terra, invece? Terremoti, eruzioni vulcaniche, tsunami, possono devastare città e villaggi in una manciata di secondi. Alluvioni, tornado, uragani, non sono da meno. A complicare ulteriormente le cose vi è il fatto che non ci è possibile vivere sui due terzi della superficie terrestre. E riguardo gli esseri umani? Ad esempio, per quanto possano sembrarci strumenti portentosi, i nostri occhi non ci permettono di vedere la realtà così com’è. La realtà, infatti, è molto più ricca di particolari di quanto ci appare. Se consideriamo l’ampiezza dello spettro elettromagnetico non potremmo che considerarci quasi cechi: ciò che il nostro apparato visivo ci permette di vedere è una porzione che costituisce meno di un milionesimo di miliardesimo dell’intero spettro elettromagnetico. Ma, dopotutto, che importa: il cervello rimane comunque il nostro “pezzo forte”. E invece no. Se lo analizzassimo bene ci accorgeremmo che non è tanto più speciale di quello di una lumaca. Il cervello della lumaca conta soltanto 10.000 cellule nervose, tuttavia è già molto complesso. Naturalmente esistono differenze col cervello umano, ma non sono così profonde come si è portati a credere. Per lo meno in senso chimico e fisiologico i due cervelli funzionano in modo assai simile, utilizzando gli stessi neurotrasmettitori, come la serotonina, la noradrenalina, l’acetilcolina. La natura ha impiegato un tempo molto lungo per perfezionare la prima cellula nervosa, ma una volta trovato il sistema adatto lo ha mantenuto nell'evoluzione delle specie e dei cervelli. Si tratta di un esempio di economicità e di razionalità. Così l’acetilcolina, per fare solo un esempio, è rimasta tale e quale nel cervello del polpo, in quello del pesce elettrico, in quello della lumaca e via via fino all’uomo. Le differenze consistono in ciò che gli americani chiamano genericamente “wiring”, cioè nell’organizzazione e nel sistema di comunicazione (più complesso e con unità più numerose). La differenza, in parole povere, è come quella esistente tra una calcolatrice da tavolo e un computer molto potente. Vi è poi una sorta di paradosso che coinvolge i geni. Molte delle malattie che affliggono l’uomo sono di natura genetica. Alcune di queste sono predestinate a manifestarsi fin da prima del concepimento, altre in periodi successivi, altre ancora in età avanzata. Il paradosso risiede nel fatto che l’evoluzione non avrebbe avuto luogo se non si fossero verificate alterazioni genetiche. Il problema è che a volte le mutazioni in questione possono evolvere in vere e proprie anomalie, come nel caso delle malattie nell’essere umano. L’umana inconsapevolezza risiede nel fatto che la nostra vita è così breve che non ci rendiamo conto di quanto il pianeta su cui viviamo sia in realtà un organismo dinamico e in continua evoluzione. La natura cambia, evolve, così come gli esseri viventi di cui ne fanno parte. Ad esempio, non avremmo mai conosciuto l’orso bianco se il gene che controlla il colore del pelo della sua pelliccia non fosse mutato. Pare infatti che i primi esemplari di orso polare fossero simili ai Grizzly che, generazione dopo generazione, videro la propria pelliccia schiarirsi fino a diventare completamente bianca. Questo è un chiaro esempio di evoluzione per selezione naturale. Probabilmente non ci saremmo neanche evoluti, o ci saremmo evoluti in modo diverso, se non l’avesse fatto anche la terra su cui camminiamo. Circa 4,5 milioni di anni fa le forze tettoniche che agiscono sui continenti diedero luogo a quello che oggi conosciamo come istmo di Panama. Prima della sua formazione le correnti oceaniche potevano scorrere dall’oceano atlantico all’oceano pacifico. La chiusura di questo canale provocò così un mutamento epocale nel ciclo dei flussi oceanici con importanti conseguenze climatiche su scala globale. Il ridente e rigoglioso habitat del Corno d’Africa in cui vivevano i nostri antenati diventò progressivamente più arido fino ad evolvere in savana. Questa condizione li spinse ad effettuare spostamenti alla ricerca di cibo. Contemporaneamente la linea umana iniziò a distaccarsi da quella degli scimpanzé dando luogo ad una nuova specie, l’ardipiteco, nostro diretto antenato. Ma anche la natura, per quanto straordinaria e affascinante possa sembrare, commette errori. Ad ogni modo, se “Dio creò l’uomo a sua immagine”, allora perché lo ha creato così “ordinario” e imperfetto e, oltretutto, perché avrebbe dovuto creare un ambiente così ostile come l’universo dove permettergli di vivere? A giudicare dalle apparenze, si direbbe più che questo universo sia stato creato su misura per i Tardigradi, minuscoli insetti capaci di resistere in ambienti a noi ostili. Essi possono resistere 10 anni senza acqua, sopravvivere a temperature prossime allo zero assoluto, come -272°C, e a oltre 150°C, e risultano essere mille volte più resistenti alle radiazioni ionizzanti (quali ad esempio raggi X, raggi gamma e raggi ultravioletti ad alta frequenza) rispetto a qualsiasi altro animale. Date inoltre ad un esserino di questi una piccola goccia d’acqua per reidratarsi e lui ricomporrà le parti del suo corpo danneggiate dalle radiazioni ionizzanti a cui l’avete sottoposto, dopodiché riprenderà a vivere come se nulla fosse successo. I Tardigradi sono sopravvissuti a tutte e 5 le estinzioni di massa. Essi popolano la Terra da circa mezzo miliardo di anni. Una vera e propria forza della natura racchiusa mediamente in meno di un millimetro di insetto. Insomma, se osservassimo con più attenzione il mondo che ci circonda non potremmo certamente considerarci creature privilegiate. In realtà non siamo nulla di speciale e tantomeno nulla di essenziale per l’esistenza della vita stessa. Ma arriviamo alla fine del discorso prima di demoralizzarci. Vi sono ulteriori interessanti aspetti che la scienza indaga suggerendo quanto la natura abbia in realtà plasmato l’uomo attraverso un’evoluzione. Ad esempio, è molto probabile che un tempo i nostri antenati fossero in grado di percepire il campo magnetico terrestre per via di alcuni depositi di magnetite (il minerale con le più intense proprietà magnetiche esistente in natura) all’interno del loro cranio, più precisamente nell’osso etmoide, situato tra gli occhi e il naso. Pare anche che i nostri antenati fossero provvisti del gene che codifica per l’enzima L-gulonolattone ossidasi, il che rendeva loro possibile sintetizzare la vitamina C in modo autonomo. Nel tempo questo gene ha subìto numerose mutazioni e ha smesso di funzionare. Lo stesso vale per la magnetite nell’osso etmoide: l’elemento persiste tuttora nell’uomo moderno, ma ha perso del tutto la sua funzionalità. L’appendice vermiforme, quella parte dell’intestino sempre più soggetta ad infiammazioni, anche gravi, ci suggerisce quanto i nostri antichi predecessori fossero in realtà erbivori e di quanto il mutamento di dieta e abitudini abbiano modificato nel tempo la morfologia e la funzionalità dell’appendice stessa. Nel nostro occhio la plica semilunare presente a ridosso della caruncola lacrimale è il residuo della membrana nittitante, peculiare in vari rettili, uccelli e squali. Il coccige, invece, è il residuo della coda. Tutti questi resti vestigiali evidenziano quanto l’essere umano non sia una creatura a se stante, bensì il risultato di un’evoluzione durata milioni di anni. Non ci sarebbe quindi alcuna ragione di pensare che l’uomo sia stato creato appositamente per volontà divina. Per le azioni che compiamo ci sentiamo spesso al centro di tutto. Ma, come già accennato in precedenza, a ben pensarci nessun uomo su questa Terra, in realtà, è strettamente necessario all’esistenza stessa. La scienza, inoltre, apre gli occhi sulla natura e riconosce che non sempre ciò che esiste deve avere anche una causa, come dopotutto dimostra il principio di indeterminazione di Heisenberg. Il pensiero scientifico svela oltretutto il suo lato parsimonioso attraverso il rasoio di Occam (che tra l’altro prende il nome da un frate francescano inglese), col quale comprende quanto sia superfluo introdurre un dio per spiegare l’esistenza dell’universo. Forse il modo migliore di apprezzare la nostra esistenza è quello di contemplarne l’effimera e fievole bellezza. Rimango dell’opinione che l’umiltà rappresenti l’unico punto d’incontro tra la conoscenza e l’ignoto. Ad ogni modo, considerando anche solo il breve excursus di constatazioni elencate finora, penso che la domanda da porsi non sia tanto se “esiste Dio?”, ma piuttosto “quante probabilità ci sono che Dio esista?”. Per me sono prossime allo zero. Ma, chissà, potrei anche sbagliarmi. Bibliografia e riferimenti
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AutoreOmar Tomaino (Torino, 1986), fotografo, studioso Gli articoli più letti
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